SCUOLE
Sbagliando si impara: perché è importante iniziare a riconsiderare il rapporto tra conoscenza ed educazione riportando l’errore a una dimensione di accettazione.
Quando si accosta il termine ‘errore’ al pensiero della scuola, una delle prime cose che forse ci torna in mente è che una volta gli errori si segnavano con la penna rossa, con un tratto bello deciso sul foglio. E quando gli errori erano molti, facevano l’effetto di tante ferite su un foglio, che poi si specchiavano nello sguardo triste e ‘colpevole’ dell’alunno che quegli errori li aveva fatti.
Subito dopo, forse, ci tornano alla mente le sensazioni che – da alunni – abbiamo provato quando eravamo seduti sui banchi di scuola: l’aver commesso un errore ci ha fatto sentire a disagio o, peggio, sbagliati. Molti di noi richiameranno alla mente l’esperienza dell’errore associandola a un giudizio di disapprovazione da parte di figure significative – come gli insegnanti e i genitori.
E mentre per alcuni magari si è trattato di sensazioni transitorie e superabili, magari per altri alunni quella sensazione di fallimento e insicurezza interiore è risultata intollerabile, al punto da rendere l’esperienza scolastica una tortura, generando ansia e difficoltà nella concentrazione.
Eppure…“Sbagliando s’impara!”. Ed è questa un’altra frase che senza dubbio ricorderemo di aver sentito dire molte volte da insegnanti e genitori. Un proverbio non nuovo, ma non per questo del tutto scontato nel suo significato.
Sbagliando, cosa si impara? Se l’errore ci permette un miglioramento del processo di apprendimento è innegabile il suo valore. E forse bisogna partire proprio da qui per iniziare a riconsiderare il rapporto tra conoscenza ed educazione.
La possibilità di sbagliare, infatti, crea le condizioni per lo sviluppo di apprendimenti più efficaci, poiché le ipotesi fallite altro non sono che una risorsa per rendere meglio percorribile il processo di insegnamento-apprendimento a cui si sta partecipando, sia come alunni che insegnanti.
L’errore, poi, ha anche un legame con la creatività. Percorrere fedelmente vie tracciate da altri può essere rassicurante, può risparmiarci fallimenti, ma l’apprendimento passa anche da percorsi inesplorati, meno lineari e più tortuosi.
Non a caso i latini dicevano che ‘errare humanum est’. E chi erra? Chi cammina su sentieri non battuti, chi non ha riferimenti prestabiliti che obbligano a impiegare le risorse cognitive possedute in schemi di pensiero prestabiliti.
È interessante, in questo senso, guardare anche all’etimologia del termine ‘educazione’ (dal latino ex-ducere), che è duplice.
Nell’accezione abituale riporta al significato di guidare, di condurre verso uno scopo. È da qui che deriva forse il modello educativo prevalente secondo cui “chi sa guida chi non sa” lungo itinerari noti.
Ma il verbo educare esprime anche un altro significato, meno conosciuto magari: quello di condurre via, in disparte, richiamando l’idea dell’essere trascinati, condotti oltre percorsi già tracciati. È questa una prospettiva che riporta la scuola alla necessità di considerare l’errore e i fallimenti in una dimensione di accettazione e non come segni di incompetenze da biasimare, da eliminare, o peggio da punire.
Commettere errori è umano; perseverare nel commetterne di nuovi lo è forse ancora di più. Qualsiasi storia di successo – dal bambino che riesce a stare in piedi e muovere i primi passi, alle spedizioni sulla luna, alla pubblicazione dei libri di Harry Potter – è la risultante di un percorso costellato di errori, ostacoli e amare delusioni.
Fortunatamente, qualcosa è cambiato dal tempo degli errori segnati in rosso sul foglio. Ma c’è ancora molto lavoro da fare, partendo dalla consapevolezza che chi educa per primo si muove nell’incertezza, nel tentativo, nella sperimentazione, evolvendo nei linguaggi e nei metodi.
E l’errore deve essere fonte di apprendimento per entrambe le parti: colui che educa e colui che è educato.
Per aiutare i bambini nel loro processo di crescita servono adulti pazienti, curiosi e capaci, siano essi genitori o insegnanti. Adulti che vedano la scuola come un luogo dove è possibile provare dubbi e incertezze per qualcosa di nuovo e sconosciuto senza che ciò diventi un problema.
Ed è a scuola che i bambini di oggi si formano per diventare quegli adulti pazienti, curiosi e capaci di domani. E Scuola di Fallimento investe e punta sul futuro, creando:
- laboratori ludici rivolti a bambini (a partire dai 3 anni), insegnanti e genitori
- “kit dell’errore” per insegnanti e scuole elementari, medie e superiori
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