Cambiamento
Cambiamento
Dal greco kàmbein, kàmptein «curvare».
Cambiare significa curvare, piegare, girare intorno. Indica la possibilità di aggirare volontariamente un ostacolo, ma anche l’azione di mettere da parte, allontanarsi a causa di una “forza” scatenante, di una volontà esterna che ci costringe a cambiare percorso.
A noi piace rappresentare il cambiamento con l’atto del camminare. Il camminare è l’atto consueto dello spostarsi a piedi da un luogo all’altro, del muoversi da un percorso già battuto verso un sentiero inesplorato. Indica anche la progressione e lo sviluppo umano, l’avanzamento di una idea. Ma può anche segnalare il funzionamento di un orologio che, a un tratto, non cammina più. Non camminare significa quindi non andare avanti, stare fermi, non progredire, non apprendere, non conoscere, non rischiare, non cambiare.
Il cambiamento è però faticoso. Il cervello è pigro e non ama i cambiamenti. Alcuni recenti studi mostrano che le persone cambiano rapidamente il modo in cui camminano – comprese le caratteristiche dell’andatura – in modo da risparmiare le energie. Il che è assolutamente in linea con il fatto che tutti noi preferiamo fare le cose con il minimo sforzo possibile, un po’ come quando scegliamo il percorso più breve, o decidiamo di sederci invece di rimanere in piedi.
Il cambiamento non è lo stato naturale degli esseri umani. La stabilità è più confortante per cui soffriamo i cambiamenti perché mettono in discussione le nostre certezze.
Cambiare è quindi una faticosa opportunità, ma è una opportunità straordinaria di crescere come individui, come impresa, e come comunità di persone che hanno gli stessi obiettivi e camminano insieme per raggiungere la stessa meta.